Impressioni di settembre (cit.)

ImmagineLe mie impressioni di settembre prendono forma su un treno alta velocità che da Milano mi riporta a casa. Ho un viaggio alle spalle, e un altro ancora, e in valigia le foto di un luogo che non avevo mai visto, uno scialle nuovo da tempo desiderato e quella sana malinconia che mi accompagna sempre durante le immobili corse sospese su due rotaie.

Forse è solo quello stato d’animo che chiamano saudade, quel malessere che ti prende quando lasci un posto per riversarti nell’abituale routine della tua vita. Forse dipende dal ritmo con cui scandisco il mio tempo quando mi ritrovo nella città che è sempre di corsa. Rallento ogni passo, ogni movimento, e non mi lascio trascinare da quel caotico flusso umano, che sembra aver difficoltà a ricordare quel qualcosa che esiste al di là della scrivania. In un immenso effetto vertigo di hitchcockiana memoria, vesto i panni di Alice e mi lancio all’inseguimento di un personale Bianconiglio, lasciandomi ammaliare dal ciarlare di assurdi personaggi che non rivedrò mai più.

E poi c’è il vento, quello che mi accoglie all’uscita dalla stazione. Mi accarezza il viso e mi sussurra seccamente che l’inverno sta arrivando, ma fanculo alla notte oscura e piena di terrori (semicit.).

Lascia un commento

Archiviato in Uncategorized

Apologia dell’adattamento

Ci si adatta alle scarpe nuove, quelle che stringono un po’ sulla pianta del piede. Una smorfia, un passo arrancato, ma si continua a calpestare la strada.

Ci si adatta ai capelli bianchi che spuntano con fare bastardo. Li si camuffa con un po’ di colore, lasciandosi il trauma del tempo che scorre alle spalle, almeno fino alla prossima tinta.

Ci si adatta al caldo dell’estate, alle mani screpolate dall’incalzare dell’inverno, alla pioggia sottile dell’autunno e ai forti acquazzoni della primavera. Si ricorre ad uno scialle quattro stagioni, che ci sta bene sempre, quasi come la pizza, anche se è preferibile non addentarlo.

Ci si adatta alla ruga sul viso che segna il cruccio di un “se avessi” e nasconde la gioia di un sorriso. Un velo di fondotinta, un paio di occhiali oversize e lo sguardo perso nei propri pensieri.

Ci si adatta alle assenze, alle lontananze, alla stanchezza della sera, alle giornate di lavoro pesanti, alla costante illusione di poter andar via. Prendi il passato e te lo lasci alle spalle, perché ad un certo punto le strade si dividono, e se accade, forse è giusto che sia così.

Ci si adatta alla solitudine, al ristoro dei silenzi, al ronzio del ventilatore acceso. Il profumo dei gelsomini può risvegliare i sensi e trascinare in un beato oblio.

Ci si adatta alla vita che cambia.

Lascia un commento

Archiviato in contusioni confuse

Spalle alla tempesta

Alcune tempeste quando arrivano le senti e con una inspiegabile euforia cacci il naso fuori dalla finestra e annusi l’aria, sperando che porterà vento, tuoni, gocce grosse come susine. Sono quel genere di tempeste che ti fanno respirare aria nuova dal mare, che abbattono l’afa e ti nascondono il sole per un giorno intero.
Il suono delle gocce d’acqua sui mattoni ti fa battere un po’ più lentamente il cuore, il respiro si quieta e il corpo resta immobile.
Con la tempesta alle spalle, chiusa in casa, ti senti meglio, ti senti come parte di un gigantesco meccanismo di vasi comunicanti: fuori si svuota, dentro ti riempi.

Ci sono altre tempeste che non vengono annunciate da nessun borbottio di tuoni, da nessun gabbiano che vola basso, da nessuna emozione lampante. Quelle arrivano, ti portano via le cose migliori che hai come un tornado. Non hai fatto in tempo ad inchiodare porte e finestre… e fogli, libri, quadri, sedie, poltrone, tavoli… tutta la mobilia dentro di te viene scaraventata fuori con violenza.
Sconfortato, cerchi di fare un’inventario di ciò che manca, metti tutto su di una lista ma finita la prima pagina, ti rendi conto che è troppo, troppo ti è stato portato via dalla furia degli elementi. Non sai più come riarredare la tua stanza, non sai cosa ti piaceva leggere, cosa ti piaceva fare quando eri da sola. Non sai nemmeno cosa pensavi.
Spalle alla tempesta non puoi far altro che contare le vittime ed elencare i danni.
Rientri in casa con passo lieve ma non puoi evitare di calpestare e rompere qualche coccio; allora te ne stai lì, sulla porta a guardare i danni dentro, con il pensiero in bilico sul ricostruire o cambiare casa.

 

Lascia un commento

Archiviato in confusioni notturne

Elogio del proposito

Mi si è impa(l)lato il proposito ed anche il documento sul quale scrivevo il proposito mentre elaboravo il proposito stesso. Sarà un problema di ridondanze, di discordanze, di pensieri sparsi tra i (non)pensieri o più semplicemente l’aggiornamento di word.

Sarà una questione di fiati o ameni affanni, di voci spezzate, di parole urlate. Sarà che certi silenzi stordiscono, altri placano il cuore.

Il proposito è non avere propositi.

Bugia.

Il proposito solleva un dilemma, ma allo stesso tempo è il dilemma a sollevare il proposito e a quel punto è necessario capire se il proposito è un buon proposito o un cattivo proposito.

L’alibi del proposito è avere propositi.

I propositi possono essere latenti, inebrianti, edificanti, sconcertanti. I propositi delineano il proposito, che asseconda la propria forma (in)seguendo l’ordine dei propositi.

Sono alla ricerca di un proposito. Ne ho bisogno per contestualizzare questa decontestualizzazione, per schivare il vuoto della rassegnazione, per ricominciare a fare domande anche se, a volte, mi annoia cercare le risposte.

Il mio proposito è “IL” proposito.

Ho i piedi freddi e non è poi così male.

L’immagine è “The witch” di Andy Warhol

Lascia un commento

Archiviato in scapezzo

Sul perché certe donne non dovrebbero essere madri

Mi (s)trascino con passo stanco verso casa. Qualcuno spieghi al clima che è il 3 ottobre e che questi  anomali 26° entrano in netta collisione con lo spasmodico desiderio di indossare il mio nuovo cappello arancione in VERA pelle di lepre (come ha tenuto a sottolineare la commessa fescion).

Cammino nel mio solito stato di estraniamento dal mondo quando, all’improvviso, mi si pone davanti un ostacolo: un gruppo di 6/7 mamme ostruiscono il passaggio che mi condurrà a casa. Rallento il passo. Valuto la strategia migliore per superarle. Potrei  lanciare una bomba e creare un varco tra i passeggini. Forse non è il caso.  Rifletto, e mentre lo faccio, in lontananza, con passo spavaldo arriva lei, la mamma “atteggiata” per antonomasia.

Dicasi mamma “atteggiata” quella donna convinta di essere megapotente solo perché bimbomunita. Ricoperta da capo a piedi da abiti firmati (la mutanda non si vede, ma giurerei che indossi un completino La Perla), la mamma “atteggiata” attraversa il Corso della città mostrando fiera il suo bambino trofeo. Osserva le altre donne con indignazione, con sguardo sprezzante, convinta di avere una marcia in più.

Fasciata nel suo jeans stretto, magliettina rigorosamente bianca, con fare sguaiato esclama rivolta ad una tipa del gruppetto: “CARAAAA, NON MI POSSO PROPRIO FERMAREEEE, SI E’ PISCIATO TUTTO ADDOSSOOO!”

Mi fermo (ma come parla?).

“Fermatiiiii” esclama la conducente di un passeggino ultima generazione che farebbe invidia a Michael Schumacher “fammi vedere quanto è bello”.

“EH…  BELLO, MA SI E’ PISCIATO FIN QUI” Ed indica il punto poco sotto l’ascella “Si piscia sempre fin lì!”

“MA E’ NORMALEEEEE” risponde l’altra.

Cara mamma “atteggiata”,

premetto che non sono madre e mi auguro che Dio, o chi per lui, scampi a qualsiasi bambino di essere portatore diretto del mio patrimonio genetico. Non ho la minima idea di chi tu sia e non mi sembrava il caso di intromettermi in una conversazione privata, ma sono fermamente convinta che qualcuno, e non importa se tua madre, tua suocera, la tua tata o anche  la signora che ti pulisce il cesso, spieghi a te (e, possibilmente, anche a quel genio del male della tua amica) che NO, NON E’ NORMALE!

Sono solo due i motivi per i quali a tuo figlio accade una cosa simile: o ha una vescica di dimensioni spropositate per un bambino di circa due mesi o gli cambi il pannolino una volta al giorno. Quale delle due sia la ragione (e non so perché, ma la strega cattiva dell’Est che regna in me opta per la seconda ragione) beh, in entrambi i casi, NON E’ NORMALE.

L’unica cosa che mi resta di augurarti è che un giorno, quando sarai vecchia, sola e incapace di badare a te stessa, tuo figlio riservi per te la stessa cura e attenzione che tu stai riservando a lui.

Con cordialità

Erode

 

Lascia un commento

Archiviato in scapezzo

mi manchi.

sei lontano. sono passate settimane e chissà quanti giorni passeranno ancora.
mi manchi. tanto. mi manchi nelle cose semplici. nelle cose banali. mi manchi nelle cose quotidiane. mi manca andare al supermercato insieme. la pennichella post pranzo. mi mancano i baci sulle guance. mi mancano i nostri interminabili silenzi. gli abbracci. le parole sussurrate. le gare in cucina. mi mancano le mani che si sfiorano. il poterti guardare negli occhi. mi manchi tu. adesso. ora. e odio il telefono, perché mi illude. facendomi sentire la tua voce vicina quando tu non sei qui con me.


pic by @Boss_of_dtcs

Lascia un commento

Archiviato in confusioni notturne

Da dove vieni?

Inforco un paio di occhiali nuovi.

Lo faccio perché ho iniziato a guardare il mondo con occhi diversi, perché ho girovagato ed ho avuto voglia di ritornare, perché il mio “io” ha percorso, immobile, così tanta di quella strada da non esser più colto da  un’affannosa voglia di peregrinare.

Inforco un paio di occhiali nuovi.

“- Cosa vuoi comprare? -disse infine la Pecora, sollevando gli occhi per un momento dal suo sferruzzare. -Ancora con precisione non lo so, -disse Alice molto gentilmente.  -Prima vorrei dare un’occhiata intorno se posso. -Puoi guardare davanti a te e ai tuoi lati, se ti va, -disse la Pecora; -ma non puoi guardare tutt‘intorno… a meno che tu non abbia gli occhi dietro la testa. Ma Alice, guarda caso, gli occhi lì non li aveva; e qundi, si dovette accontentare di girare all’intorno osservando gli scaffali. La bottega sembrava piena di ogni sorta di cose curiose… ma la faccenda più stramba era che, ogniqualvota concentrava l’attenzione su uno scaffale, per rendersi conto di ciò che conteneva, ecco che proprio quello scaffale risultava sempre completamente vuoto, sebbene gli altri intorno apparissero talmente pieni da strabuzzare”*.

Inforco un paio di occhiali nuovi.

Ho impiegato così tanto tempo a cercare qualcosa dove mi era impossibile guardare, da perdere di vista ciò che era proprio lì, davanti ai miei occhi. La consapevolezza (mista ad un impalpabile serenità) non è poi così lontana, basta osservare con attenzione tra le pieghe più oscure della propria anima. In fondo, oltre il buio, brilla una tenue luce.

Inforco un paio di occhiali nuovi.

Mi piace l’idea di poter cambiare volto al mio viso.

*Lewis Carrol, Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie e Al di là dello specchio, Einaudi

Lascia un commento

Archiviato in contusioni confuse

È questo che significa essere liberi?

“Sono libero, mi dico. Chiudo gli occhi e per un po’ penso a questa mia nuova libertà. Ma non riesco a capire bene che cosa significhi il fatto che sono libero. Quello che capisco adesso è semplicemente che sono solo. Solo e in un paese che non conosco. Come un esploratore solitario che ha perso bussola e mappa. È questo che significa essere liberi?” M.Haruki

Lascia un commento

Archiviato in confusioni notturne

Raccontami una favola…

Raccontami una favola…

Che non narri di draghi e di re.

Che il principe non arrivi in sella ad un cavallo bianco.

Che non ci sia una dolce pulzella ad aspettarlo in cima alla torre.

Non ci saranno incantesimi e maghi. Non ci sarà il bacio del risveglio da un lungo sortilegio.

Che ci sia il “lieto fine”. Non subisco più il fascino della beffarda incognita dei finali aperti.

Lascia un commento

Archiviato in contusioni confuse, scapezzo

Il suono dolce della “c” – una ricetta a piè di pagina.

 

 

 

 

 

 

 

Sotto il coperchio della Zuccheriera, avvolta dalla Zuccheriera, dall’oblò mi piace guardare, ascoltare e odorare. Dentro e Fuori. In Alto e in Basso. Di Lato ma anche di Traverso.

[Mi piace]

Trieste con la sua luce, il suo mare, i suoi confini, le sue diversità, i suoi caffè.

Il suono che fa “piace” perché ha la “c” dolce.

Abbattere a colpi di mortaio il pepe rosa solo per sentirne il profumo.

[Mi piace]

Avere tre forchette nel piatto ma un solo coltello.

Il mio gatto che: sale sulla sedia, allunga la zampa e prende un po’ di cibo.Anche per sé.

La domenica quando: apro la porta, sento gli odori della cucina di mia nonna. Lei non c’è.

Continua a leggere

Lascia un commento

Archiviato in cucina